Oggi tutti parlano di futuro, di smart city, di smart parking. È affascinante comprendere come in un domani non troppo lontano potremo scendere dall’auto e andare a fare le nostre commissioni, mentre il veicolo si accinge in modo autonomo a cercare un’area di sosta e a parcheggiare da solo. È affascinante sapere – come abbiamo scritto qualche tempo fa – che sono già iniziati degli studi sull’utilizzo dei droni per guidare gli automobilisti verso i parcheggi liberi, eliminando dalle esperienze di guida quotidiane l’estenuante ricerca di un parcheggio in contesti urbani difficoltosi.
Prima di pensare al futuro però, pensiamo anche al presente. La situazione italiana manifesta oggi una fase di stallo, nonostante gli amministratori delle nostre città siano sempre in prima linea quando c’è da parlare di nuove tecnologie per la mobilità, salvo poi non metterle in pratica. Guardando all’estero, ci sono realtà dove le categorie “presente” e “futuro” quasi coincidono, dove tecnologie intelligenti fanno già parte della quotidianità e aiutano la mobilità cittadina. In contesti del genere è molto più credibile parlare allora di droni e guida autonoma.
Un esempio calzante ce lo fornisce San Diego, città nel sud della California. Qui alcuni storici lampioni a gas nascondono al loro interno dei sensori wireless che si collegano agli smartphone, al cloud e quindi ad altri lampioni, secondo il paradigma dello IoT (Internet of Things). David Graham, direttore operativo della città americana, afferma: “Tutti questi sensori alimentano applicazioni che possono essere utilizzate per qualsiasi cosa, dalla sicurezza dei pedoni alla disponibilità dei parcheggi, fino al rilevamento della qualità dell’aria”.
Proprio come i punti di interesse su Google Maps, i lampioni equipaggiati con questa tecnologia indicano tramite un’app sul cellulare dove sono disponibili i parcheggi liberi, diminuendo il tempo medio di ricerca del posto auto e di conseguenza migliorando le condizioni del traffico e della mobilità generale. San Diego arriverà in breve tempo ad avere 3.000 lampioni di questo tipo, spendendo circa 30 milioni di dollari e ponendosi come una delle città più smart del mondo.
Sul suolo americano questo non è un caso isolato. Un’azienda del Missouri, ad esempio, sta installando piattaforme in numerose città statunitensi e canadesi, con sensori capaci di comunicare ai netturbini quando i cassonetti sono pieni, rilevare le perdite nei tubi sotterranei, o ancora oscurare le luci di notte quando non circolano pedoni né veicoli, ma allo stesso tempo accenderle quando una persona torna a casa o parcheggia la propria auto. Lo IoT e i Big Data costruiscono mondi connessi che aiutano la città a connettere auto, strade, parcheggi, persone e tutto ciò che contraddistingue l’ambiente urbano. Ma soprattutto sono una vera manna dal cielo (dal cloud, pardon) per eliminare la congestione stradale.
I sensori non rappresentano certo un argomento nuovo, e sappiamo bene quanto siano importanti nel trasformare le città in vere smart city a misura di cittadino. Con l’esempio qui riportato vorremmo sottolineare l’aspetto pratico e, per così dire, “estetico”. Un vecchio lampione dall’aspetto dimesso nasconde dei sensori che migliorano davvero la mobilità. Nessun drone, nessuna auto che guida da sola. Una tecnologia è buona se serve, se funziona, non se è bella da pubblicizzare. Spesso accade che le amministrazioni cittadine si fregiano di aver acquistato sistemi e tecnologie col fine di “atteggiarsi” a smart cities e non di portare benefici concreti agli automobilisti. Sempre Graham, colui che ha introdotto i lampioni con i sensori a San Diego, afferma: “Le soluzioni in cerca di problemi sono Smart City fallite. Non si tratta di cercare dei gadgets, si tratta di provare a risolvere una sfida”. Severo, ma giusto.