Un'auto a guida autonoma di Uber è stata multata a San Francisco per essere passata con il rosso. L'episodio grottesco indurrebbe a scherzose riflessioni del tipo: se anche le macchine "intelligenti" fanno gli stessi errori che facciamo noi umani, o siamo all'interno di un film comico-fantascientifico o stiamo davvero creando una tecnologia a nostra immagine e somiglianza (ovvero piena di difetti). In America la polemica è stata spenta sul nascere da Travis Kalanick – cofondatore di Uber e consigliere di Donald Trump – il quale ha dichiarato che si è trattato di errore umano: in quel momento non stava guidando l'I.A. ma l'autista, sempre presente nelle auto di Uber. Tuttavia il fatto ci induce a fare la stessa domanda che ci siamo posti un anno fa: l'auto che guida da sola serve davvero?
Forse in America sì. Forse nei paesi dove mobilità e infrastrutture procedono in modo virtuoso, sì. A dimostrarlo i numerosi studi e le frequenti joint venture con l'obiettivo di far progredire la tecnologia dei cosiddetti CAV (connected and autonomous vehicle). In Ohio un'importante piattaforma di ricerca (Transportation Research Center) ha ricevuto circa 50 milioni di dollari per costruire un'area interamente dedicata alla guida autonoma, che permetterà di effettuare test rigorosi in ogni tipo di condizione atmosferica (dalla neve al ghiaccio, dalla pioggia alla nebbia). Molto interessante (soprattutto in relazione con l'episodio di San Francisco) uno studio dell'Università di Southampton sul tempo di cui ha bisogno un guidatore per passare dalla modalità autonoma al controllo manuale: un "tempo di transizione" cruciale per la sicurezza, e di conseguenza di fondamentale importanza nella progettazione di questo tipo di tecnologie. Anche in Nuova Zelanda stanno studiando la guida autonoma grazie all'arrivo dalla Francia di un veicolo driverless per il trasporto pubblico negli aeroporti: Navya Arma (il nome non è rassicurante per noi italiani…), un veicolo 100% autonomo ed elettrico, sta effettuando una serie di test sull'aeroporto di Christchurch.
Riguardo alle joint venture ne citiamo due: quella tra Continental e Nexteer Automotive, con l'obiettivo di sviluppare componenti e sistemi avanzati per la guida autonoma, e quella tra Uber e Daimler. Quest'ultima è stata annunciata proprio in questi giorni, e comporterà da una parte lo sviluppo di tecnologie "self-driving" per le autovetture e i veicoli commerciali, dall'altra la fornitura di una flotta Mercedes con sistemi di guida autonoma per la nota azienda di ride sharing.
Ora, la guida autonoma rappresenterà sicuramente un grande step nel mondo automotive, e sarà una tecnologia dall'impronta epocale. Detto questo, torniamo alla nostra domanda: l'auto che guida da sola serve davvero… in Italia?
Quando ci sono realtà cittadine dove l'asfalto delle strade è un colabrodo, dove la congestione stradale supera il limite, e soprattutto dove manca un adeguato sistema di parcheggi, è davvero fondamentale investire su tecnologie avveniristiche o è meglio mettere a posto e far funzionare al meglio le tecnologie esistenti? Lo diciamo da sempre, la smart mobility non è solo tecnologia avanzata, ma è anche un'impostazione di base adeguata, che tuttavia a volte manca (vedi le nostre inchieste sui cantieri infiniti, sui parcheggiatori abusivi, ecc.). Le istituzioni devono prima di tutto puntare su politiche efficienti di mobilità urbana che non intralcino il trasporto privato, e che prevedano un sistema della sosta ben strutturato per residenti e visitatori. Sembra banale, ma a volte in questo paese sono le cose banali (e che uno si aspetta) a mancare.
Se il parcheggio non si trova, o se le strade sono piene di buche, le auto che guidano da sole potranno fare ben poco. Al limite, mentre l'auto guida l'automobilista può imprecare liberamente senza il rischio di distrarsi…